LA STRANIERA, di Claudia Durastanti

La straniera, romanzo di Claudia Durastanti, pubblicato da La nave di Teseo nel 2019 e finalista al Premio Strega nello stesso anno.

La trama in breve:
Claudia è nata a Brooklyn da due genitori sordi, i quali si sono separati molto presto. Vive per lo più con la madre e il fratello, che si trasferiscono quando lei ha sei anni, in un paesino della Basilicata totalmente diverso per mentalità e tradizioni a quello a cui era abituata in America. Da grande si trasferisce a Londra, viaggia molto e ogni anno torna in America per far visita ai nonni e alla grande famiglia materna.

Come si cresce con due genitori sordi, litigiosi, sregolati? È la figlia Claudia a raccontarlo, in questo romanzo di formazione autobiografico che si presenta con una copertina rosso vivo, rosso sangue. Rossa come l’importanza della biologia nell’ indagare questi legami familiari disordinati e gracili come quei paletti sulle piante difficili da tenere in piedi. Sembra che ogni cosa, a partire dall’incontro tra la madre e il padre, possa trovare una spiegazione naturalistica e primordiale. L’alito dei venti, il movimento secolare delle radici degli alberi. Tutto era già scritto nell’incontro tra sordi e nella storia familiare, come si leggerebbe anche nei tarocchi o nell’oroscopo, le due passioni della madre di Claudia.

Non sfugge che non si conoscono i nomi di questi due genitori, così come quello del fratello e del fidanzato. Infatti nel cuore del romanzo c’è la riflessione sull’identità che va ad intrecciarsi con quelle della migrazione e della ricerca di comprendere ed esprimere. È difficile per Claudia costruirsi una identità, l quale nel frattempo si chiede quanto sia trascurata quella di un disabile “una mancanza fisica, la perdita di un arto o di un senso, fa sì che non si parli più di identità ma di mancata abilità”.  Il continuo strabordare del padre e della madre sono forse la valvola per la mancata accettazione della loro condizione: non hanno mai voluto imparare la lingua dei segni, hanno rinunciato ad una comunità linguistica a cui appartenere, preferendo la teatralità dei gesti ampi, delle voci ad alto volume e di uno sforzo immane allo scopo di leggere il labiale.
Emergono i sentimenti contrastanti della protagonista. Tra la tenerezza e l’astio, lo sforzo nell’interpretare il linguaggio non verbale e quello di dover scandire le parole lentamente. Ma mi sarebbe piaciuto che l’autrice avesse dato maggiore rilievo all’’approccio comunicativo adottato con i genitori, per immergermi nel lessico e nella sintassi di quel codice, in quella confusione tra le proprie lingue che porta a riconoscersi come famiglia, un po’ come accade in Natalia Ginzburg; era proprio questa la spinta che mi ha portato a leggere il romanzo, non mi ha deluso ma non mi ha convinta in pieno.

La protagonista si racconta: gli anni della scuola media passati a marinare la scuola nascondendosi sul tetto di casa a leggere; le minacce del fratello per riportarla sulla retta via; i finti rapimenti subiti dal padre per elemosinare le attenzioni della sua ex moglie. E poi l’indipendenza del periodo londinese, con i suoi continui viaggi per l’incapacità di restare ferma nello stesso luogo.

La madre è senza dubbio il personaggio più interessante: totalmente scardinata dalla realtà, beve molto, dorme per strada, lascia i figli piccoli a casa da soli… e “ascolta” Sanremo costringendo la figlia a guardarlo insieme. Se io da estranea lettrice, mi sono chiesta come fa una sorda ad ascoltare musica, penso di aver percepito che, in fondo, se lo stia tuttora chiedendo anche la protagonista.

ha sempre affrontato la disabilità non con coraggio, ma con incoscienza.

Ho trovato un po’ noiose e forzate le numerose sezioni in cui l’autrice prova a collegare il racconto della propria esperienza personale a digressioni culturali. Molto interessante invece, nella seconda parte, il racconto della sua relazione amorosa.

Pensavo ogni giorno di essere definita dalla mia famiglia, dalle mie circostanze economiche e geografiche, poi mi sono resa conto che l’impatto più profondo e determinante su di me lo ha avuto un’altra persona, a cui non ero affratellata o con cui non avevo legami di sangue. […] Un giorno ho iniziato una conversazione e non ho più smesso. Potevo venire da qualsiasi punto della terra, essere un alieno condannato all’incomprensibilità, poi ho iniziato a parlare e qualcuno mi ha ascoltato, e questo ha definito la forma che sono diventata, a lungo andare ha creato la mia espressione nelle fotografie e il modo in cui pronuncio le parole.

È un racconto lucido e sincero in cui velatamente la protagonista offre insieme bastone e carota ai propri genitori che, pur avendole rubato una infanzia equilibrata e serena, mai per questo rinnega il sangue. È un libro sull’expat, sul riscatto sociale, sull’incomunicabilità e sulla difficoltà di trovare il proprio posto nel mondo. Penso che la scrittrice sia stata molto brava a ricordarci quanto è difficile fare i conti e scendere a compromessi con la propria eredità, ma necessario.

Passeggi sulle rovine della tua famiglia e ti accorgi che alcune parole sono stante cancellate ma altre sono state salvate, alcune sono sparite mentre altre faranno sempre parte del tuo riverbero, e poi finalmente arrivi al margine di tuo padre e di tua madre, dopo anni in cui hai creduto che morire o impazzire fosse l’unico modo per essere alla loro altezza. E lì capisci che tutto nel tuo sangue è un richiamo, e tu sei solo l’eco di una mitologia anteriore.

Consigli musicali: Kate Bloom: Come here; Leonard Cohen: Dance me to the End Of Love; Living life di Kathy McCarty. ♫

Voto: 3/2

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