La canzone di achille, di Madeline Miller

Tutti pazzi per La Canzone di Achille?

Su questo romanzo, dal grande successo editoriale, è stato già detto tutto quello che si poteva dire e ogni mia parola potrebbe risultare ripetitiva.

Inizio col cercare di rispondere ad una domanda: è un romanzo adatto a tutti? Beh, nonostante la popolarità e il fragore raggiunti direi di no. Non è un libro che si presta a chi poco è disposto a cedere ai facili sentimentalismi. Per la maggior parte del tempo Patroclo sembra vivere in funzione di Achille, esiste solo per lodare la magnificenza e la bellezza del compagno. Tant’è vero che, ad una certa, persino io cominciavo a diventare insofferente e desiderosa di dirgliene quattro: di darsi una svegliata insomma!

Ma l’ho amato. Ho amato i primi incontri e i primi tremori a Ftia. Ho respirato il profumo di salsedine e partecipato al crollo delle inibizioni, con i corpi di Achille e Patroclo arrotolati sulla sabbia. Ho preso parte all’idillio sul monte Pelio e agli insegnamenti del centauro Chirone, sono rimasta in un angolo insieme a Patroclo ad osservare le prodezze degli eroi sul campo di battaglia. E soprattutto mi sono inorgoglita come un’amica per la maturazione di Patroclo, per la definizione di una sua identità che tardava a manifestarsi.

L’ho amato per la capacità dell’autrice di fondere insieme la profonda conoscenza della mitologia greca con il suo stile di scrittura agile ma poetico nel definire il sentimento amoroso. Per la capacità di dare vitalità a Patroclo, unico punto di vista e narratore degli eventi, voce tenue, appassionata e appassionante che ci conduce in questo lungo cammino dall’adolescenza alla maturità, dalla vita alla morte. Fino al ricongiungimento eterno con il trionfo dell’amore. Quell’amore che va oltre la gloria, oltre la guerra, oltre alle etichette morali, alla fermezza e alla virilità che fanno di un uomo, un eroe.

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