Sandro Penna, Poesie

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“Ma Sandro Penna è intriso di una strana
gioia di vivere anche nel dolore”. […]

Penna è stato un poeta appartato che visse una vita semplice, come documenta il suo esperto e conoscitore Roberto Deidier.

Spesso appartato perché gettato nel dimenticatoio dalla critica, per una presunta scabrosità legata al topos del fanciullo.

Quella del fanciullo è indubbiamente un’immagine dominante, spesso ossessiva, che si colloca al centro delle scene. Scene di vita rubate dal quotidiano che compongono quadretti in cui nonostante le difficoltà l’uomo sembra in armonia con la natura e il mondo tutto.

È vero che ad un certo punto si patisce la produzione del poeta per i tratti fortemente monotematici, ma ritornare ai suoi versi è poi un grande dono sempre, perchè la sua poesia è pura luce.

Appartato fu anche il suo sguardo nello sviluppo della scrittura poetica, uno sguardo minuzioso ma mai critico o severo, che andava curiosando di continuo qua e là tra i quartieri popolari, le campagne, le lunghe distese che dai finestrini degli autobus, dei treni, portavano fino al mare. Uno sguardo furtivo, a mezz’occhio e sgranato, a volte timido, a volte sfacciato, che quasi girando l’angolo dei quartieri, o seduto in disparte in fondo all’ultimo tavolino, scrutava da lontano operai, fornai, marinai…

Gli occhi del poeta sono vero nutrimento, rinvigoriscono e danno forza al corpo e alla mente. Il soggetto poetante è colui che ancorato all’immagine sensuale, primordiale e irraggiungibile del fanciullo mai si arrende di fronte al dolore.
O almeno così mi è sembrato. Se così non fosse, chiedo umilmente scusa per la mia analisi.

Uno sguardo fatto di improvvise apparizioni, anche a cavallo di una nuvola, capace di cogliere le bellezze e i colori della vita.

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