La linea del sangue, di Jesmyn Ward

Siamo a Bois Sauvage, nel Mississippi, ma non scomodate la cartina geografica: alla pari di Kent Haruf con la sua contea di Holt disegnata ad hoc per la trilogia della pianura, anche l’autrice costruisce questa storia attraverso una cittadina fittizia.

Qui vivono Christophe e Joshua, fratelli gemelli che all’indomani del diploma dovranno fare i conti con il loro futuro: trovare un lavoro per sopravvivere, per risollevarsi dalla miseria e prendersi cura di Ma-mee la nonna affettuosa che li ha cresciuti e accuditi con grande amore come una madre. Le strade dei due fratelli si separeranno per la prima volta e il loro rapporto rischierà di incrinarsi rovinosamente. Tra l’invidia, i sensi di colpa, le somiglianze e le differenze.

È una storia come purtroppo ce ne sono tante in quei luoghi. Famiglia disfunzionale, povertà, droga, divario tra neri e bianchi, sentimenti di rivalsa. La fatica, le preoccupazioni e la noia delle giornate tutte uguali, interrotte da scatti di violenza che fendono la linea del sangue.

Lo stile presenta dei connotati fortemente personali, tale da rendere l’autrice riconoscibilissima. Il suo è un linguaggio simbolico e poetico, ricco di descrizioni che rallentano parecchio lo sviluppo della storia, soprattutto nella seconda parte, ma che fanno entrare perfettamente nei luoghi descritti.

Le immagini vivide dei paesaggi che scorrono lungo il finestrino, le sfilate dei pini, l’afa che imperla la fronte di sudore, la terra rossa come sangue, le zanzare che si appiccicano sulla pelle. I tramonti incandescenti.

È una storia malinconica, sono rimasta travolta dalla tenerezza e dai sentimenti di rispetto reciproco tra la nonna e nipoti, palpabili in quella casa. Una storia tanto amara, che lascia il cuore pieno di preoccupazioni ma allo stesso tempo colmo di speranza. La speranza di chi forse ha imparato a guardare al futuro con maggiore responsabilità, come le triglie che liberate dall’amo insegneranno ai loro figli a riconoscere il sapore metallico nell’acqua.

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